la rivoluzione mancata

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ro-mario
view post Posted on 19/8/2005, 14:23




Dunque, su Panorama della scorsa settimana –che ho acquistato per il volume di Tex- c’era un articolo su un periodo fumettistico che m’intrippa parecchio: gli anni compresi tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80. Pur non condividendo tutto quanto esposto, ritengo sia ricco di spunti interessanti…
Cos’è successo davvero? Pazienza & C. erano ad un passo dal portare il fumetto “d’autore” (sulla parola in sé stessa si può discutere finché si vuole… credo che però il concetto sia chiaro) nell’immaginario collettivo italiano, sono riusciti davvero a diventare dei “maestri di pensiero”, sebbene per un periodo brevissimo. Poi, tutto è finito, quasi di colpo. Prima la morte di Tamburini, poi il passaggio di Paz a Comic Art, la disgregazione di Frigidaire, infine la morte di Pazienza. E dove sono finiti gli altri protagonisti di quello che sembrava un periodo d’oro del fumetto in Italia? Scomparsi: Liberatore, l’unico “mostro sacro” rimasto, ha pubblicato qualcosa qua e là (soprattutto in Francia…) ma, in generale, rientra nel novero dei dispersi. Gli altri sopravvivacchiano (spesso campando d’altro), ma hanno perso il ruolo di personaggi “centrali” della cultura italiana.
Forse era il periodo… Forse, più semplicemente, Pazienza era un genio di tale spessore che solo a lui poteva riuscire l’impresa di superare lo scetticismo nei confronti del fumetto (un altro che c’è riuscito è stato, per fortuna, Hugo Pratt. Che, però, è sempre stato un solitario. Il gruppo dei Cannibali, invece, sembrava inossidabile…).
Dunque: quaellà troverete delle parentesi. Dove c’è la scritta “n.d.ro” (nota di ro-mario), si vuole indicare che sono scritte di mio pugno.
Ultima piccola precisazione: Frigidaire, Frizzer, Tempi Supplementari, Alter-Alter, Il Male ed Il Cannibale erano testate a fumetti del periodo.

ERANO I MIGLIORI LI AVETE DIMENTICATI

Di Pablo Echaurren (pittore/scrittore… all’occasione fumettista)

Dove sono finiti Frigidaire, Frizzer, Tempi Supplementari, Alter-Alter e compagnia bella? Dove sono finite tutte quelle riviste che hanno permesso al fumetto italiano di percorrere strade alternative, innovative, sperimentali? Di quel gruppo eterogeneo che ha rivoluzionato la “forma fumetto”, che vi ha apportato nuova linfa, che ha colmato il gap che la separava da tutte le altre espressioni creative, di quella generazione non resta quasi traccia, nessun protagonista risulta ancora in servizio.
I più bravi sono morti (Andrea Pazienza e Stefano Tamburini), gli altri si sono allontanati in punta di piedi. Per lo più sono stati costretti a cambiare mestiere. A ripiegare in altri campi. Lontani ormai dallo splendore di quelle pagine istoriate, dense di fantasia, di umore, di colore del tempo.
Per quanto mi riguarda, sono stato piuttosto un visitor (ha pubblicato qualche vignetta su Alter-Alter, ed alcune storie brevi qua e là. n.d.ro), un bolide di passaggio, un apolide che ha partecipato e osservato la scena con curiosità. Il mio slogan “pittura e fumetto artista perfetto” andò in breve a farsi benedire. Tanto che quando Alfredo Salsano, il compianto direttore editoriale della Bollati Boringhieri, pubblicò le mie “vite di poeti” a fumetti sollevò in casa editrice un moto di sdegno che lo costrinse a interrompere dall’oggi al domani la nostra intensa collaborazione. Poteva un editore così serio esporsi a simili contaminazioni?
Eppure, sul finire degli anni Settanta e per gran parte degli Ottanta il fumetto in Italia ha vissuto una stagione fenomenale, densa di sollecitazioni, di provocazioni, una stagione che non ha avuto eguali in nessun altro paese.
Alla riscoperta di elementi colti, derivanti dalla lezione di Cubismo, Futurismo e Surrealismo, si è saldata la consapevolezza della possibilità di praticare quella che Maurizio Calvesi, con una felicissima intuizione, definì “avanguardia di massa”.
Passata la sbornia del ’77, le cui frange più extravaganti predicavano una creatività diffusa, e dopo l’ironia degli indiani metropolitani che alimentò il filone del “Male” (una rivista satirica a cui collaborava il futuro gruppo di “Frigidaire”. N.d.ro), si comprese che l’arte non era affatto morta e sepolta nelle gallerie, nella specializzazione, nell’alienazione del mestiere, ma premeva per ritornare a dialogare coi flussi esistenziali, con le cose concrete, con la strada. Insomma, si poteva, si doveva, contestare l’esistenza con altre armi. Coi pennelli, le chine e i pennarelli. Non più “l’immaginazione al potere” ma “il potere o l’immaginazione”.
Apparve evidente che dove c’è l’una non c’è spazio per l’altro. Le cento e cento fantine che sbocciarono a raffica scelsero la via dell’immaginazione e furono il segnale di una riscossa grafica senza precedenti.
Prima Cannibale, poi Frigidaire e infine il gruppo di Valvoline (tutte riviste a fumetti di quel periodo) hanno indicato un nuovo modo di essere artisti, hanno incarnato una rivolta complessiva contro gli specialisti, hanno provato a sdoganare il fumetto, sottraendolo al consueto ruolo di semplice intrattenimento per pischelli e deboli cervelli.
Veniva così annullato l’opinabile divario tra alto e basso, tra arte nobile e arte ignobile, tra cultura ufficiale e subcultura popolare. Nacque un fumetto emancipato in grado di dialogare alla pari con la pittura, con l’architettura, con il design, con la letteratura.
Ritengo Andrea Pazienza in assoluto il più grande scrittore della nostra generazione.
In grado di influenzare e creare nuovi stili. Eppure, quel clima fantastico s’è sgonfiato di colpo, è collassato, si è estinto. A causa della incomprensione congiunta tanto dei critici d’arte quanto degli addetti ai fumetti, tutti accomunati nella risoluzione a non sortire dal tracciato.
La morte di quel colorato drappello (che comprendeva tra gli altri Scozzari, Carpinteri, Josa Ghini, Liberatore, Mattioli, Cadelo, Brolli, Giacon, Igort) fu il risultato di una doppia cocciuta convenzione ad escludendum, di una determinazione a cancellare, a soffocare ciò che rischiava di far vacillare l’intero castello basato sulla divisione dei generi.
Roman Jakobson, in occasione del suicidio di Vladimir Majakovskij, scrisse un illuminante pamphlet intitolato “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti” in cui lamentava la cecità di chi permise che la genialità si infrangesse contro lo scoglio della vita quotidiana. In Italia la coalizione dei critici d’arte e dei fanatici del fumetto ha dissipato i suoi disegnatori più talentuosi, ha prosciugato l’acqua in cui sguazzavano, ha disseccato un’intera linea di ricerca.
Se la critica d’arte, anche la più agguerrita e aggiornata, non ha riconosciuto la dovuta dignità agli autori della striscia disegnata, il pubblico dei comic ha disatteso ogni aspettativa, è rimasto indifferente a una nuova tendenza che gli sembrava astrusa, collusa con avanguardie indigeste, distante dalla tradizione lineare del raccontare per immagini senza stare troppo a cincischiare. C’è chi arricciava il naso per il fatto che un mezzo così popolare aspirasse a entrare nel salotto buono e chi lo storse perché vedeva in questa tendenza una fuga in avanti di segno elitario, snobistico, antipopolare. Fuori mercato.
I salotti non si mischiano coi fumetti e viceversa. Però cosa c’è di meglio del flaneur per annusare i cambiamenti, per individuare gli smottamenti in atto, per carpire quali mutamenti stanno maturando nella società?
Ma l’Italia è per definizione e per dannazione un paese professorale, accademico, baronale. Diceva bene Aldo Palazzeschi che da noi il Futurismo è stato apprezzato solo quando è diventato strapassato. E non era un semplice gioco di parole. Se ai grandi pittori del calibro di Roy Lichtenstein, Andy Warhol, Keith Haring è stato riconosciuto il merito di avere introdotto nei quadri elementi della cultura di massa, viceversa quanti introducevano elementi pittorici nella cultura di massa venivano tenuti in quarantena.
E’ stata questa visione ristretta, sorretta da una lunga serie di luoghi comuni, afflitta da un misoneismo (avversione alle cose nuove n.d.ro (l’ho cercata sul vocabolario, né!)) congenito, a impedire che si saldassero due discipline, che saltassero le compartimentazioni stagne, che finissero quelle lagne sulle rispettive differenze, sulla inconciliabilità tra unicità dell’opera d’arte e riproducibilità del disegno a stampa. Il feticcio dell’opera d’arte, sempre più avulso ed esclusivo, avrebbe potuto arricchirsi, aprirsi, accorciare la distanza tra sé e il pubblico, così come la striscia d’autore avrebbe potuto dimettere la propria sudditanza di prodotto di consumo. Ma ciò non fu, a causa dei talebani nostrani.
Dell’una e dell’altra sponda.
 
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Leonardo84
view post Posted on 20/8/2005, 12:54




Non posso aggiungere nulla a quanto hai detto Mario, posso solo dirti ciò che penso:
"Presto il fumetto sarà rivalutato, almeno qui in Italia"
 
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deadhead!
view post Posted on 20/8/2005, 21:41




spero di non aver letto il de profundis del fumetto
...verranno tempi migliori e bruceremo queste città .... diceva una canzone di un gruppo marchigiano amici di Pazienza tra l'altro
quello che piu mi fa girar le palle è che il fumetto viene utilizzato sempre piu in pubblicità come sorta di carosello moderno una ribalta di trenta secondi inutile e fastidiosa
 
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2 replies since 19/8/2005, 14:23   247 views
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