| Ecco qui, riportandola dal sito di Panorama On-Line, l'intervista fatta a Sergio Bonelli in occasione della promozione Bonelli-Panorama.
L'editore del celebre ranger, di Dylan Dog, Zagor e altri successi si confessa. E racconta come lui e suo padre hanno creato gli eroi di ieri e di oggi.
Non è facile essere il fratello di Tex. Tutti vengono a chiederti di lui. Sergio Bonelli, classe 1932, capo di un'azienda del fumetto che arruola centinaia di disegnatori e sceneggiatori in tutta Italia, aveva 16 anni quando suo padre Gian Luigi inventò Tex. Abitavano in una casa della vecchia Milano, con il lavandino sul ballatoio, che per lavarsi ci voleva il cappotto… «No, per carità» scongiura Bonelli «mi sono stufato di raccontare sempre il solito percorso lacrimogeno dalla casa di ringhiera al successo. Parliamo d'altro».
Nello studio di Bonelli si alternano, in un allegro caos, juke-box d'epoca, eserciti di soldatini coloniali, statuette della macumba sudamericana, albi di Topolino, e i pupazzi di Lampiao e Maria Bonita, i capi dei cangaçeiros, banditi a cavallo che terrorizzarono il Sertao brasiliano nell'anteguerra. «So tutto dei cangaçeiros» dice Bonelli. «Sono andato a visitare il luogo in cui gli ultimi di loro furono massacrati negli anni Quaranta. Così come negli Stati Uniti sono andato a vedere la tomba di Billy the Kid e Little Big Horn. Ora rivedrò le spiagge dello sbarco in Normandia. Amo i luoghi che contengono storie. E in ogni luogo immagino storie. Nel Sahara mi sembrava subito di vedere cavalieri sulle dune, gli uomini blu e la Legione straniera. Ho conservato un cervello infantile, è necessario per il mio lavoro».
E infatti, oltre che editore, lei è anche, come suo padre, inventore e sceneggiatore di fumetti. A 25 anni dirigevo già la casa editrice. Il mio mestiere vero è quello di editore. Ho iniziato a scrivere fumetti per valutare meglio il lavoro altrui. Insomma, volevo capire se gli sceneggiatori avevano ragione a chiedermi così tanti soldi, se era vero che una storia lunga costava più fatica di una corta e così via. Poi, quando ero in difficoltà, correvo da mio padre: «Dai, questa storia finiscimela tu».
Il suo primo personaggio di successo, nel 1961, è stato Zagor... L'ho scritto che avevo una trentina d'anni. Allora mi divertivo di più, avevo più tempo, la casa editrice era piccola, i lettori pochi. Zagor è un po' l'anti Tex, è più ironico e più fiabesco. Mio padre aveva un grande senso epico, era influenzato dal grande romanzo popolare ottocentesco, dai Dumas, dai Conrad, e aveva un grande rispetto per la tradizione del western. A me invece piace scherzare. Così ho affiancato a Zagor una spalla comica, Cico. Mio padre un po' ne era infastidito. Quando doveva finire una storia di Zagor che io avevo iniziato, metteva subito Cico in prigione o all'ospedale per liberarsi di lui.
Un altro suo successo, nel 1975: Mister No. Allora trionfava ancora il western. E ormai il West lo conoscevamo a memoria. Io nel 1969 avevo iniziato a viaggiare attraverso l'Amazzonia e mi ero reso conto che poteva essere il nuovo mondo dell'avventura. Poteva sostituire i classici scenari salgariani, come l'India, che si erano dissolti col postcolonialismo. L'Amazzonia era ancora abbastanza esotica e sconosciuta: c'erano tribù che erano state scoperte dai bianchi solo pochi decenni prima. Parlando con i missionari e con le guide del posto, mi è venuta l'idea di un avventuriero nell'Amazzonia degli anni Cinquanta. Ma ho tenuto a lungo le tavole nel cassetto prima di pubblicarle. Avevo paura che la novità non funzionasse. Poi le pubblico, vado in vacanza per essere al riparo delle delusioni, ma mi richiamano di corsa a Milano: le edicole avevano esaurito tutto, bisognava ristampare di corsa.
E ora è tornato a scrivere, dopo molti anni, per raccontare l'ultima storia di Mister No. Eravamo arrivati a 130 mila copie, ma ora sono solo 25 mila. Anche l'Amazzonia è cambiata. Già negli anni Settanta è iniziato lo sfruttamento intensivo e Manaus è diventata una città che ha raccolto schiere di illusi e di morti di fame. Così ho deciso di scrivere io stesso l'ultima avventura di Mister No, ambientandola proprio negli anni Settanta. Ma sa una cosa? Non riesco a finirla. Brutto segno. Una volta non stracciavo così tante pagine.
Anno 1986, altro grande successo per la Bonelli: Dylan Dog... Dylan Dog ci ha cambiato la vita. E non solo perché la casa editrice ha avuto un boom, ma anche perché per la prima volta gli intellettuali non ci snobbavano. Umberto Eco leggeva Dylan Dog. E pensare che a scuola mi vergognavo di dire che i miei genitori facevano fumetti. Dylan Dog è stato un successo clamoroso. Eppure, stranamente, solo italiano. Chissà perché. Certo l'autore, Tiziano Sclavi, con quel personaggio squattrinato e anticonsumista, che usa sempre le stesse vecchie Clarks, un ex alcolizzato che non è certo un modello di virtù, ha intercettato qualche umore profondo dei giovani italiani.
Nei fumetti Bonelli si gioca spesso col misterioso, col paranormale. Quello che continua a mancare è forse l'erotismo. Perché? Personalmente sono un appassionato di pornografia, potrei rispondere a qualsiasi domanda su un film hard: gli attori, i registi, le scene clou. Eppure, nei miei fumetti, mi infastidiscono le scene di sesso. Controllo personalmente il lavoro dei disegnatori e censuro tutte le tette. Poi, magari, li chiamo e chiedo loro una tavola erotica solo per me. Vuole vederle? E Sergio Bonelli mostra uno studiolo affollato di disegni erotici. Un vero museo privato dell'eros. Tavole di maestri ormai riconosciuti (Crepax, Manara, Pratt) e pose per nulla allusive. Tex, fratello minore ma assai più bacchettone, forse non approverebbe.
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