intervista a Carlos Gomez, by Gianlorenzo Barollo

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ro-mario
view post Posted on 12/10/2007, 07:50




Dago ha i capelli scuri, braccia muscolose e una spada che non perdona. Carlos Gomez è barbuto, non molto alto e ha gesti misurati e quieti. La differenza sta soprattutto nello sguardo. Così come gli occhi di Dago sono assetati d’avventura, quelli di Gomez esprimono una calma olimpica propria di chi ha il controllo delle cose. Certo le storie dello spadaccino veneziano escono dalla penna del vulcanico Robin Wood, ma sta al disegnatore argentino dargli corpo e ogni volta si tratta di creare un mondo nuovo. Anche se non si parte da zero.
“La ricerca è fondamentale. Per disegnare Dago ho letto parecchi libri di storia in modo da conoscere i fatti ma anche la mentalità di chi viveva in quei tempi. E poi sono sempre a caccia di scorci suggestivi. Mi piace portare Dago in posti che esistono realmente e non si può ambientare una storia in una città senza conoscerne le strade e le piazze. Anche se a volte mi è capitato di disegnare posti dove non ero mai stato e che poi ho scoperto esistevano veramente”.
- La cura storica e le ambientazioni sono quindi il marchio di fabbrica di Dago?
“Sì, non posso disegnare una storia ambientata a Bergamo e proporre una piazza Vecchia che somiglia al centro di Lucca. Giustamente il lettore si può incavolare. Non sapete quante volte ho ricevuto segnalazioni di errori. Una volta c’erano le lettere, adesso con le e-mail è più facile. E allora ti chiedono perchè quello stemma era così, no quell’armatura non va bene, troppo moderna. E’ un’attenzione che mi fa piacere. Quando disegno so di avere a che fare con un lettore non superficiale”.
E questo rispetto per il lettore si traduce in una cura certosina che gli ospiti dell’Arcadia hanno potuto vedere all’opera: i volti di Dago escono con espressioni e stati d’animo differenti. Gomez dice che spesso sono una sorpresa anche per lui.
- Ci parli dei tuoi inizi in Argentina?
“Ho iniziato a lavorare seriamente come disegnatore quando avevo diciassette, diciotto anni. Mi piacevano le storie di Lucky Luke ma presto ho cominciato a produrre cose mie, dai gauchos alle avventure spaziali. Il Paese allora usciva dalla dittatura e c’erano più giornali e più possibilità di pubblicare. Io abitavo a Cordoba e ho collaborato con un giornale cittadino proponendo una stricia quotidiana. Poi mi sono spostato a Buenos Aires ma è durata poco. Mi sono trasferito nella Terra del fuoco e ho iniziato delle collaborazioni a distanza”.
- Dove eri?
“A Ushuaia. Era dura: internet e il fax non esistevano. Dovevo camminare per sette chilometri al freddo e raggiungere l’aeroporto per caricare pacchi di disegni”.
- Poi è arrivato Dago?
“Sì, prima di me lo disegnava Salinas, ma pian piano sono riuscito a conquistare la fiducia dell’autore e dei lettori. Sai sono un autodidatta, ma ho perfezionato il mio tratto soprattutto attraverso lo studio dal vivo. La possibilità di lavorare con modelli veri dà più profondità al disegno”.
- Anche il cinema di genere, tipo “cappa e spada” ti è stato d’aiuto?
“Sì e no. Spesso questi film non sono molto accurati nei costumi, nelle armi e si rischia di compiere errori grossolani. Si vedono sviste enormi anche nelle grandi produzioni. Un film ben fatto ti può dare l’atmosfera del tempo ma preferisco documentarmi sui libri”.
- Quali sono le difficoltà?
“A volte è difficile capire il comportamento della gente di quei tempi. Io cerco di concentrarmi soprattutto sul modo di vita di allora. E’ la parte più pesante perchè ci sono mille dettagli e sfumature. Un uomo che allora aveva 40 anni equivale ai 60 di oggi. La salute in generale era pessima, dovuta non solo alle epidemie ma anche all’alimentazione. Non molti conservavano tutti i loro denti in età adulta. E poi la mentalità era molto ristretta. Pochi avevano la possibilità di studiare e soprattutto di viaggiare: Dago è una vera eccezione del suo tempo.
- E’ un’incarnazione del pensiero moderno.
“E’ così, ma nelle nostre storie ci sono delle concessioni “estetiche”. Ad esempio l’ideale di donna in quel periodo è florida e abbondante, noi diremmo grassa. Ma doveva rispecchiare la ricchezza e la potenza del marito. Io non posso certo disegnare le donne come le gradirebbe Dago”.
- Come è il tuo rapporto con Wood, creatore e sceneggiatore di Dago?
“Abitiamo a quasi quattromila chilometri di distanza: io in Argentina, lui in Paraguay. I primi anni lo chiamavo sempre, ogni cambiamento era concordato. Lui è un tipo imprevedibile, sempre in movimento, pieno di di idee. A un certo punto mi ha detto “fai come vuoi”. Ma preciso che il mio contributo è principalmente grafico. Se trovo una soluzione che ritengo sia più efficace la faccio. So di avere la fiducia di Robin”.
- Anche personaggi?
“Sì qualche volta. Ricordo una donna ad esempio che aveva buone potenzialità, un bel carattere. Ma a Wood piace cambiare, l’ha fatta fuori subito. Eh, eh.
- E per il futuro?
“Sto lavorando a un Tex, un numero speciale che raccoglierà autori che non appartengono alla scuderia di Bonelli. Anche qui mi sto documentando su vestiti e armi. Non mi piacciono quei western dove tutti sembrano appena usciti dal sarto. Lo spaghetti wester in questo senso è quello che è andato più vicino alla realtà del farwest. Voglio che le mie tavole siano il più possibile fedeli allo spirito del tempo”.
- Dago farà una capatina a Bergamo?
“Ho visitato città alta e preso alcuni libri. Ci sono scorci molto interessanti. Di sicuro qualche bella piazza finirà nelle tavole di Dago”.
 
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zanzino2
view post Posted on 7/2/2009, 20:46




SPOILER (click to view)
ciao
 
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2 replies since 12/10/2007, 07:50   1172 views
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